Il regolamento contrattuale può prevedere "l'immodificabilità" in senso assoluto del decoro dell'edificio

2020/8/14

Il codice civile non fornisce una definizione del regolamento. Dottrina e giurisprudenza, come spesso accade soprattutto in materia condominiale, hanno sopperito alla lacuna.


In questo contesto, spesso, si legge che “ il regolamento di condominio, quali ne siano l’origine ed il procedimento di formazione (accettazione da parte dei singoli acquirenti delle unità immobiliari condominiali del regolamento predisposto dall’originario unico proprietario dell’intero edificio oppure deliberazione dell’assemblea dei condomini votata con la maggioranza di cui all’art. 1136, secondo comma, c.c.), si configura, in relazione alla sua specifica funzione di costituire una sorta di statuto convenzionale del condominio, che ne disciplina la vita e l’attività come ente di gestione (ferma l’inderogabilità di alcune norma concernenti specifici aspetti della disciplina legislativa), come atto volto ad incidere su di un “rapporto plurisoggettivo” concettualmente unico con un complesso di regole giuridicamente vincolanti per tutti i condomini”(Scorzelli, Il regolamento di condominio, FAG, 2007).


Se il regolamento è contrattuale – vale a dire predisposto dall’originario unico proprietario e inserito nei singoli atti d’acquisto (spesso anche trascritto presso la conservatoria dei pubblici registri immobiliari) oppure sottoscritto successivamente da tutti i condomini – esso può contenere clausole limitatrici dei diritti di proprietà e d’uso dei singoli condomini sulle parti comuni e su quelle di proprietà esclusiva.


E’ usuale, in regolamenti del genere, trovare delle clausole che vietino qualsivoglia modificazione del decoro dell’edificio. In sostanza in questo modo il regolamento impedisce ogni cambiamento dell’estetica.


Certo il cambiamento dev’essere considerato di carattere permanente ma una regola del genere è sufficiente ad impedire ogni intervento modificativo anche se non peggiorativo. Di questo ne è convinta anche la Corte di Cassazione.


In una recente sentenza, nel rigettare un ricorso proposto da un condomino, gli ermellini hanno affermato che “ i giudici del merito si sono attenuti all'orientamento di questa Corte, secondo la quale un regolamento di condominio contrattuale (quale è stato implicitamente considerato dalla Corte territoriale quello in esame), ove abbia ad oggetto la conservazione dell'originaria facies architettonica dell'edificio, comprimendo il diritto di proprietà dei condomini mediante il divieto di qualsiasi opera modificativa, persino migliorativa, appresta in tal modo una tutela pattizia ben più intensa e rigorosa di quella apprestata al mero "decoro architettonico" dall'art. 1120 c.c., comma 2, art. 1127 c.c., comma 3 e art. 1138 c.c., comma 1; con la conseguenza che, in presenza di opere esterne, la loro realizzazione integra di per sè una vietata modificazione dell'originario assetto architettonico dell'edificio (Cass. 14-1-1993 n. 395; Cass. 12-12-1986 n. 7398).


Va altresì ribadito il principio affermato dalla giurisprudenza, secondo cui, in tema di condominio negli edifici, il pregiudizio economico è una conseguenza normalmente insita nella menomazione del decoro architettonico che, costituendo una qualità del fabbricato, è tutelata - in quanto di per sè meritevole di salvaguardia - dalle norme che ne vietano l'alterazione (Cass. 31-3-2006 n. 7625; Cass. 15- 4-2002 n. 5417)” (Cass. 23 maggio 2012 n. 8174).


Insomma la tutela del decoro prevista da un regolamento contrattuale può essere considerata alla stregua di una certezza “d’immodificabilità” dell’edificio.

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